Origini Storiche e Diffusione, dalla Croatina alla Bonarda
Quando si parla di Bonarda, sono necessarie almeno una mezza dozzina di precisazioni. La Bonarda, infatti, è sia il nome di un vitigno che di un vino, molto popolare in tutto il Nord Ovest del Belpaese, prodotto però da tutt’altra varietà, la Uva Croatina, comunemente chiamata Bonarda nell’Oltrepò Pavese e nel Piacentino. Badate bene però, in termini ampelografici per Bonarda si intende la Bonarda Piemontese, non la Croatina, decisamente più popolare: si parla di 5.900 ettari complessivi, suddivisi tra Lombardia (3.700 ettari) ed Emilia Romagna (2.200 ettari). Conosciuta sin dal Medioevo, come ci racconta ancora Ian D’Agata nel suo “Native Wine Grapes of Italy”, la Croatina è originaria dell’area di Rovescala, in Lombardia, anche se l’ampelografo Emanuele Di Rovasenda la colloca nel Nord del Piemonte.
La prima descrizione ufficiale, di Gallesio, è del 1831, anche se un documento notarile del 1192 parla già della produzione enoica a Rovescala all’epoca, ed i più romantici fanno risalire ad allora la storia della Croatina. Che nella seconda metà dell’Ottocento, nonostante una certa irregolarità produttiva, ed una pessima resistenza alla peronospora, diventò estremamente popolare nell’area lombarda, dove sono proliferate decine di varietà simili ma con nomi diversi, a causa dell’enorme variabilità intravarietale della stessa Croatina (per variabilità intravarietale si intende – semplificando molto un concetto base dell’analisi genetica della vite – la capacità di una varietà di adattarsi a diverse zone e diversi territori dando vita a biotipi diversi, un esempio lampante è quello del Grenache, che in Sardegna diventa Cannonau).
Le proprietà organolettiche
Ovviamente, la Croatina è anche il vitigno base della Bonarda dei Colli Piacentini (la percentuale minima è dell’85% secondo il disciplinare), e dobbiamo considerarla una varietà capace di dare vini di alta qualità, polposi, dolci e cremosi, sia nelle versioni ferme che in quelle frizzanti, tanto da venire spesso utilizzata per ammorbidire gli Amarone, ma anche profondamente fruttati. Inoltre, la Croatina si distingue per una grande abbondanza di tannini, piuttosto ruvidi, così come per una grande concentrazione di antociani (sostanze presenti nell’uva che hanno importanti proprietà antiossidanti).
Descrizione Ampelografica della Croatina
Grappolo a maturità industriale: grande (centimetri 20-25); conico, alato; di media compattezza o compatto. Peduncolo di lunghezza media (circa un terzo della lunghezza del grappolo), semi-legnoso, piuttosto grosso, ben visibile. Pedicelli medio-corti, di color rosso feccioso; cercini evidenti, di color rosso violaceo più carico di quello dei pedicelli; pennelli corti ed incolori.
Acino: medio, di forma sferoide o appena visibilmente ellissoide, regolare; sezione trasversale circolare; ombelico non persistente; buccia abbastanza pruinosa, di color turchino regolarmente diffuso, piuttosto spessa consistente e coriacea; succo incolore; polpa succosa, a sapore semplice.
Vinaccioli: generalmente due per acino, piuttosto piccoli che medi, con becco poco allungato e poco appuntito. Nessun acino è senza vinaccioli.
Abbinamenti vino-cibo
La versione più diffusa della Bonarda, questo tipico prodotto dei colli piacentini, si presenta vivace o frizzante e si abbina a piatti di salumi, bolliti, cotechino, zampone, cassoeula. Anche paste asciutte con sughi a base di pomodoro meglio se con carne, risotti con carne e/o legumi, ravioli di carne anche in brodo. Esiste però anche una variante ferma, molto più corposa e strutturata (celebre ad esempio il Gaggiarone, prodotto sull’omonimo colle di Rovescala), ideale per le carni rosse e i salumi.
I vini bonarda della nostra cantina
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