
Fermentazione a grappolo intero | Approfondimento
Pratica che affonda le sue radici nella tradizione vitivinicola, la fermentazione a grappolo intero negli ultimi anni è stata riscoperta dai produttori che vogliono valorizzare le peculiarità dell’uva impiegata, così come le proprie competenze tecniche in cantina. Un mix, quindi, tra tradizione e innovazione che è particolarmente apprezzato dagli appassionati di vino, sempre più interessati a metodi di vinificazione naturali e sostenibili.
Come suggerisce il nome stesso, la fermentazione a grappolo intero prevede l’utilizzo dell’intero grappolo di uva rossa, senza procedere alla diraspatura come avviene solitamente. Impiegata principalmente in Francia, in particolare nella zona della Borgogna, questa tecnica è presente anche in alcune zone del Piemonte, e in origine veniva utilizzata soprattutto con uve pregiate come il Pinot Nero e il Nebbiolo.
Le origini
La fermentazione a grappolo intero è molto diffusa fino alla metà dello scorso secolo e, con l’introduzione di nuovi macchinari più moderni, che agevolavano la separazione tra il raspo e gli acini di uva, è stata progressivamente accantonata, a favore dell’utilizzo di strumentazioni che non solo agevolano il lavoro in cantina, ma che consentono anche di diversificare la produzione e aumentare così i ricavi.
Come avviene
La vinificazione ‘classica’ prevede la separazione tra raspi e acini dei grappoli, successivamente questi vengono pigiati. Il mosto così ottenuto viene fatto fermentare, per poi procedere all’affinamento e alla maturazione del vino. Nella fermentazione a grappolo intero, come dice la parola stessa, non avviene questa prima parte della procedura: gli interi grappoli vengono posti all’interno del fermentatore. Il produttore può scegliere se impiegare al 100% il frutto intero, oppure inserire una parte di uva già diraspata o acini pressati per agevolare la fermentazione. Anche nel caso in cui vengano impiegati solo grappoli interi, il processo di fermentazione si innesca ugualmente: il mosto presente sul fondo libera l’anidride carbonica, che consente di preservare il frutto dall’ossidazione fino alla fine della fermentazione che viene monitorata continuamente, così come la fase successiva della pigiatura. Uve a grappolo intero, insieme alla macerazione carbonica, sono i due aspetti principali per la produzione di vino novello, molto apprezzato anche in Italia e non solo in Francia.
Caratteristiche
Il vino è un prodotto vivo, quindi ogni aspetto che riguarda la sua produzione influisce sulle sue caratteristiche. Così come i materiali impiegati per l’affinamento, anche i raspi chiamati a far parte del processo di fermentazione danno il proprio contributo, influenzando il bouquet aromatico che risulta essere più fruttato e in alcuni casi leggermente speziato. In particolare rilasciano polifenoli, come i tannini, accentuando così non solo l’intensità cromatica del vino ma aiutando anche a definirne la struttura, mitigando l’acidità. Proprio per questo motivo, prima di procedere alla vinificazione, sarà necessario controllare che anche i raspi stessi siano ben maturi. Raspi ancora troppo ‘verdi’ rischiano di conferire note eccessivamente erbacee, con uno sgradevole retrogusto amarognolo.
Vini rossi
Questa tecnica è maggiormente indicata per la produzione di vini rossi. Come abbiamo già detto, la fermentazione a grappolo intero si adatta bene a uve come il Pinot Nero, il Nebbiolo, ma anche al Syrah. Insieme alla macerazione carbonica, regala gli eleganti e freschi Beaujolais e l’italianissimo vino novello.
Vino novello
Se in Francia il Beaujolais è tra i vini più apprezzati, anche nel nostro paese ha preso piede il vino novello. I consumatori sono conquistati dal suo bouquet fruttato, dal gusto fresco e non eccessivamente alcolico che segna l’arrivo dell’autunno. Per la sua realizzazione è necessaria la macerazione carbonica, una tecnica di vinificazione che prevede appunto il conferimento di uve Pinot nero a grappolo intero. I frutti vengono inseriti in un recipiente a chiusura emetica per un periodo di sette/dieci giorni. Questo contenitore viene poi riempito con gas inerte (azoto o anidride carbonica), oppure si attende che il mosto presente sul fondo avvii la fermentazione, producendo in maniera autonoma l’anidride carbonica necessaria per attivarla, ‘mangiando’ tutto l’ossigeno presente. Questo procedimento esalta così gli aromi secondari, caratteristici di questo tipo di vino. In Francia vengono utilizzate – per il Beaujolais – solo uve Gamay, lavorate al 100% con la macerazione carbonica. In Italia invece il disciplinare è diverso. Si privilegiano uve Pinot nero e la percentuale di ricorso alla macerazione carbonica può variare dal 40 al 100%.
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