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I vini rossi emiliani più conosciuti | Approfondimento

Si dice che il vino rispecchi lo spirito del territorio. L’Emilia-Romagna da questo punto vista non fa eccezione. Qui, dove operosità e gusto per la vita vanno a braccetto, i vini sono generosi, con una gradazione alcolica non eccessiva, da bere in compagnia o meglio ancora seduti attorno a una tavola riccamente imbandita. Caratteristiche che si ritrovano nei vini rossi emiliani più conosciuti, come Sangiovese, Lambrusco, Gutturnio. Ciascuno di loro è espressione della zona di produzione.

Vino Sangiovese

Iniziamo il nostro viaggio dalla Romagna, che divide con la Toscana l’onore di essere la culla del Sangiovese, base di alcuni dei vini italiani più pregiati come il Chianti, il Morellino di Scansano, il Vino Nobile di Montepulciano, e il vino Sangiovese di Romagna. Quest’ultimo, è un vino Doc (denominazione ottenuta nel 1967) e può essere prodotto solo nelle vigne di Forlì Cesena, Ravenna, Rimini e in sette Comuni della provincia di Bologna. Il Sangiovese di Romagna Doc nasce dagli acini scuri dell’uva Sangiovese, in una quantità che non può essere in quantità inferiore all’85% e per la quota restante con vitigni a bacca nera, sempre originari dell’Emilia-Romagna. Le origini del nome sono incerte, tra le ipotesi più accreditate figura quella che lo farebbe risalire a ‘Sangue di Giove’, vista la vicinanza di monte Giove a Santarcangelo di Romagna. Dal colore intenso, che sfuma nel violaceo, il Sangiovese con il suo gusto armonioso e leggermente tannico, dall’aroma delicato, è l’abbinamento ideale per i piatti ricchi della tradizione romagnola: salumi, paste ripiene e ben condite, arrosti e bolliti.

Vino Lambrusco

Arrivando nel cuore nell’Emilia Romagna troviamo il Lambrusco, il vino che simboleggia per eccellenza la convivialità di questa regione. Frizzante, poco alcolico, dal prezzo mediamente molto accessibile, non a caso è tra i vini italiani più conosciuti ed apprezzati sia sul territorio nazionale che all’estero. Tra gli anni Sessanta e Settanta ha conosciuto un vero e proprio boom sul mercato Usa: qui il Lambrusco, in virtù del suo modesto contenuto alcolico e il gusto zuccherino, è stato presentato come una sorta di bibita, una Coca Cola Made in Italy. Negli ultimi anni, tuttavia, si è preferito puntare sulla qualità del vino, piuttosto che sul mero marketing. Prodotto da uve a bacca nera, nelle province di Modena, Reggio Emilia, Parma e, sconfinando in Lombardia, anche nel territorio di Mantova, il Lambrusco nasce come vino frizzante o spumante, ed è sia rosso che rosato. Esiste anche una versione bianca di questo vino, ma la produzione è molto limitata, così come nella variante secca. Sono sette le Doc e 3 IGT (Indicazione Geografica Tipica) attribuite al Lambrusco: Lambrusco di Sorbara rosso, Lambrusco Grasparossa di Castelvetro rosso, Lambrusco Mantovano, Colli di Scandiano e di Canossa, Lambrusco Salamino di Santa Croce rosso, Lambrusco Reggiano, Modena DOC. Lambrusco è un unico nome che riunisce 12 vitigni autoctoni. Sorbara, Grasparossa, Salamino, Foglia frastagliata, Barghi, Maestri, Marani, Montericco, Oliva, Viadanese, Benetti, Pellegrino: elementi diversi che, in base alla zona e alle scelte dei produttori, danno vita al Lambrusco. Le sue origini sono antiche: viene citato da Virgilio, così come da altri autori latini nei loro scritti. In questi si trova testimonianza della presenza della vitis labrusca, che significa selvatica, spontanea. Una qualità che il Lambrusco ha saputo mantenere intatta nei secoli a venire, fino ai nostri giorni. La sua naturale effervescenza, così come il caratteristico gusto fruttato, che resta amabile anche nella versione più secca, si sposano bene con la cucina sostanziosa dell’Emilia, ricca di gusto e di grassi, a partire dal classico gnocco fritto e salumi, insieme ai formaggi stagionati della zona come Parmigiano Reggiano e Grana Padano.

Vino Gutturnio

Il nostro viaggio si conclude a Piacenza, ultima provincia della Regione, al confine con la Lombardia. Il vino rosso che troviamo qui, il Gutturnio, rappresenta un modo di essere emiliani ancora diverso, rispetto al Sangiovese e al Lambrusco. Anche qui, le origini affondano nell’antica Roma, o meglio fino al suocero di Giulio Cesare, Lucio Calpurnio Pisone, il primo a codificarne la produzione. Il ‘battesimo’ del Gutturnio avviene però in epoca più recente. È l’enologo Mario Prati, nel 1938, a proporre questo nome per il vino piacentino, traendo spunto dal ritrovamento, nel secolo precedente, di una grande coppa d’argento di epoca romana lungo le sponde del Po, il ‘gutturnium’ appunto. Un vino che può essere frizzante, ma anche fermo. Amabile e più strutturato. Un’essenza forse sfuggente, inafferrabile, come è anche lo spirito dei piacentini: non troppo emiliani ma nemmeno lombardi. È per questo che, dal conferimento della Doc nel 1967, una delle prime assegnate in Italia, negli anni successivi vengono classificate diverse tipologie di questo vino rosso emiliano. Gutturnio Classico, Gutturnio Classico Riserva, Gutturnio Classico Superiore, Gutturnio Frizzante, Gutturnio Riserva e Gutturnio Superiore. Tante sfaccettature con due punti fermi, ossia Barbera e Croatina. Sono questi i vitigni che danno anima e corpo al Gutturnio. La Barbera conferisce acidità, la Croatina porta in dote il tannino: da questo matrimonio nasce un vino che la tradizione vuole naturalmente frizzante, eventualmente rifermentato in bottiglia, ma in grado di esprimere nella versione ferma, con un affinamento in legno, una complessità che non sfigura davanti a rossi più importanti. Quest’ultima versione è più adatta ad accompagnare piatti di carne, dagli arrosti ai bolliti fino ad arrivare ai brasati. Il gutturnio frizzante si abbina meglio al classico antipasto piacentino a base di salumi e ai classici primi di pasta fresca ripiena, come tortelli e anolini in brodo o ancora ai tradizionali pisarei e fasò.

Vino Barbera

Origini piemontesi, spigoloso a un primo impatto ma in grado di smussare gli angoli con l’andare del tempo, il Barbera viene utilizzato nel Piacentino, come già detto, nell’uvaggio del Gutturnio. Cltivato e vinificato in purezza, il Barbera riesce ad esprimere le peculiarità che lo hanno reso tra i vini più apprezzati e conosciuti a livello nazionale e internazionale, e questo non solo grazie alla celebre canzone di Giorgio Gaber. Come vitigno, inizia a diffondersi dal Medioevo, e sono diverse le ipotesi dell’origine del suo nome. C’è chi lo fa risalire al latino ‘barberus’, ossia aggressivo o vivace, viste le caratteristiche di questo vino, dalla spiccata acidità soprattutto nella versione più ‘giovane’, che conserva anche una certa effervescenza. Secondo altri il vitigno prenderebbe il nome dalla località Barberi, nel Comune di Villafranca Sabauda, dove sicuramente veniva coltivato. Di certo, il suo nome compare per la prima volta nel 1512 in un atto catastale del Comune di Chieri. Nell’arco dei secoli si diffonde nel Monferrato e l’Alessandrino; sfruttando poi i collegamenti ferroviari e la vicinanza al porto di Genova, il Barbera dà il via a un successo commerciale che persiste fino ad oggi. Tra le tipologie più conosciute figura la Barbera d’Asti, divenuta Docg nel 1970, nella versione più ‘giovane’, fresca e immediata, che nella tipologia Superiore, più complessa e strutturata. Gli abbinamenti ideali, per questi vini, sono piatti importanti e ricchi, come risotti, paste ripiene, secondi a lunga cottura come il brasato.

Vino Bonarda

Una, nessuna, centomila. Riuscire a presentare questo vino in poche parole è complicato, anche perché il vino che nell’Oltrepò Pavese e nel Piacentino viene chiamato Bonarda nasce, in realtà, dall’uva Croatina. Che ha lo stesso nome ma è ben diversa dalla Bonarda di origine piemontese, a sua volta diffusa quasi in ugual misura in Lombardia che in Emilia.  Per semplicità parleremo della Bonarda piacentina che nasce dalla Croatina, in percentuale pari all’85% secondo il disciplinare. E’ un vino generoso, forse il più emiliano tra quelli prodotti nel Piacentino, dal colore intenso, dal profumo intenso e con una percentuale alcolica contenuta. Più conosciuto nella versione frizzante e amabile, dove forse esprime al meglio le sue qualità, è in grado di stupire nelle tipologie secca e amabile, a riprova della grande versatilità di questo vino. A tavola, l’abbinamento ideale è con secondi particolarmente sostanziosi e ricchi di grassi, come il cotechino o zampone, così come i bolliti misti, così come a primi piatti a base di carne, come i classici anolini in brodo.

Vino Pinot nero

Vitigno aristocratico per definizione, ma democratico nella coltivazione. Dalla sua culla d’elezione, la Côte d’Or, in Borgogna, il Pinot Nero è diventato un giramondo. Viene coltivato con ottimi risultati in Nuova Zelanda, così come in California e perfino nell’austera Germania. Si è accasato con ottimi risultati anche in Italia, nel Trentodoc e in Franciacorta. I suoi rossi grappoli, carichi di aromi, hanno fatto capolino, nel corso degli anni, anche tra le vigne della Valtidone, diventando una delle varietà più apprezzate, sia nella produzione di vini rossi che bianchi, come base di spumanti di ottima qualità. Il Pinot Nero può essere, infatti, vinificato in rosso: regala così vini sofisticati, dai profumi fruttati e floreali, di crescente complessità in base all’invecchiamento. Allo stesso tempo, il Pinot Nero può essere vinificato in ‘bianco’, ossia senza contatto con le bucce. Con questo procedimento, vengono prodotti ottimi spumanti, in purezza, o in blend con altri vitigni. In Francia, insieme allo Chardonnay e al Pinot Meurier, è tra i tre vitigni utilizzati nella produzione dello spumante. Nella versione spumante, il Pinot Nero è l’accompagnamento ideale a un menù a base di pesce. La versione classica, in rosso, è il contrappunto ideale per piatti a base di carne o formaggi stagionati.

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