Ristrutturazione dei vigneti | Approfondimento
Valorizzare i vini di qualità legati al territorio, migliorando al tempo stesso la competitività delle aziende. E’ obiettivo dei bandi finalizzati alla ristrutturazione e riconversione dei vigneti, con finanziamenti messi a disposizione dall’Unione Europea e ridistribuiti sui territori dalle Regioni italiane. Si tratta di forme di sostegno molto concrete, destinate a coprire il 50% delle spese sostenute dai richiedenti, che possono essere imprenditori agricoli singoli o associati, imprese o anche enti del terzo settore. I beneficiari dei contributi, erogati su base annuale o biennale, si impegnano a mantenere i vigneti almeno per i 5 anni successivi dalla data di erogazione.
Cosa significa ristrutturare i vigneti
Le azioni finanziate sono principalmente tre: la riconversione varietale, per puntare su vitigni di maggior pregio o più appetibili da un punto di vista commerciale, la ristrutturazione vera e propria dei vigneti, intesa sia come ricollocazione del vigneto in una posizione più favorevole per la tipologia delle uve o il reimpianto con modifiche alle forme di allevamento della vigna. Infine, tra gli interventi oggetto di contributo figura anche il reimpianto dei filari a seguito di problematiche sanitarie o fitosanitarie.
Riconversione varietale, tra identità e appeal commerciale
“I contributi messi a disposizione servono per l’estirpo e il reimpianto dei vigneti – spiega Sara Monaco, agronomo di Cantina Valtidone -, con varietà più adatte al mercato e anche più rappresentative del territorio che le ospita. Ad esempio, nel Piacentino si privilegia la varietà autoctona Ortrugo, rispetto alla tradizionale Malvasia perché quest’ultima è attualmente un po’ meno richiesta”. “I vignaioli generalmente estirpano le piante che sono già arrivate a fine attività, ossia quando mostrano un calo produttivo importante – afferma l’agronoma –, oppure quando mostrano problemi fitosanitari altrettanto importanti (come il mal dell’esca, la flavescenza dorata)”. Sul fronte delle uve rosse, il ritorno alle origini è ancora più marcato. Nel Piacentino si tende a sostituire vitigni di origini francesi impiantati ormai anni fa, come Merlot, Cabernet, Syrah, con uve locali come Barbera che ha tra l’altro il vantaggio di una maggiore produttività, sottolinea Monaco, e Croatina. Le due uve che, unite insieme, danno vita al Gutturnio.
Meccanizzazione in vigna, opportunità di crescita
Tra le altre opportunità offerte da questi bandi figura anche la riconversione in forme di allevamento della vite più meccanizzabili, continua Sara Monaco, come il passaggio dal guyot tipicamente piacentino al cordone speronato e il cordone alto. “I nuovi impianti possono avere una palificazione in acciaio o ferro che rende l’impianto totalmente meccanizzabile per quanto riguarda le varie lavorazioni del vigneto (palizzatura dei germogli, cimatura, sfogliatura, vendemmia) – spiega -. Il tutto si traduce in una diminuzione dei costi di gestione del vigneto, vista anche la difficoltà di reperire manodopera specializzata in vigneto”.
Tutelare le produzioni Doc
Privilegiare e valorizzare le varietà locali, è quindi l’obiettivo di questi bandi dedicati a imprenditori agricoli singoli o associati per vigneti adatti alla produzione di vini Doc e Igp. Proprio per questo esistono dei criteri da rispettare, con un numero minimo di ceppi come previsto nello stesso disciplinare per l’iscrizione ai Doc. “Va rispettata – dice Monaco – una fittezza minima dei fusti per ettaro. Stabilire le distanze è sempre un’operazione delicata, da valutare in base alle caratteristiche del vitigno e alle necessità di meccanizzazione della produzione da parte del viticoltore”.
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