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Cucinare con il vino – anvein al sürbì | Approfondimento

Il vino in cucina è un alleato prezioso e non solo per esaltare le portate che accompagna. E’ un ingrediente fondamentale, in grado di conferire quell’aroma in più al piatto che stiamo preparando. Proprio per questo vanno scelti con cura quando si è ai fornelli. “Un errore comune, che fanno in tanti, è quello di usare vino di scarsa qualità per cucinare” spiega Alberto Paganuzzi, presidente dell’Accademia della Cucina Piacentina. “Invece va utilizzato del buon vino. Non solo – sottolinea – il vino che viene utilizzato nelle preparazioni deve essere quello che porteremo in tavola, per accompagnare le nostre portate”.

La tradizione piacentina, poi, sublima questa finezza culinaria con un piccolo rito, che affonda nel nostro passato ed è ancora molto diffuso. Quale miglior abbinamento di un bel bicchiere di vino rosso, per un piatto di anolini in brodo? Un abbinamento che può diventare un piatto vero e proprio se il vino viene versato nel brodo ancora caldo, per essere gustato con le ultime cucchiate di anolini, ora ribattezzati ‘al sürbì’.

Tradizione verace

“Impossibile dire a quando risalga questa usanza, ci perdiamo nella notte dei tempi” spiega Paganuzzi insieme al vice presidente dell’Accademia, Mauro Sangermani. “Era una tradizione diffusa nelle osterie, così come nelle famiglie, per concludere la serata in compagnia. Si aggiungeva al brodo il vino che si aveva a disposizione. Una volta era più diffusa la barbera e allora si prediligeva quella, mentre la bonarda veniva considerato un vino da donne. Ora si preferisce il gutturnio”. E per chi, davanti a un piatto di anvein al sürbì – come si dice in piacentino – storce il naso, la risposta è di ricorrere al metodo empirico e affondare senza indugio il cucchiaio nel piatto. “E’ molto corroborante, energetico – dice Paganuzzi -. E’ come gustare uno zabaione caldo”.

Un piatto per fare festa

Gli anolini sono una tipica pasta ripiena della cucina piacentina, da gustare tuffati in un buon brodo ricco, anche se c’è chi non disdegna di gustarli asciutti, accompagnati dallo stesso sugo di stracotto che è servito per il loro ripieno. Una pietanza, quindi, da non gustare tutti i giorni, soprattutto se accompagnata da un bel brodo robusto. “Una volta lo si faceva con la gallina, perché solo quello c’era a disposizione. Ma nelle vere giornate di festa si preparava il classico brodo di terza, ossia con tre tipi di carni diverse – spiega Paganuzzi -. Al posto della gallina si sceglieva il più pregiato cappone, da fare ripieno, insieme a un pezzo di manzo e alle costine di maiale. Poteva diventare anche brodo di quarta se, insieme alla carne, veniva aggiunto anche un po’ di ripieno, magari avanzato dalla preparazione del cappone, avvolto in una garza o in un telo e immerso nel brodo”.

Una ricetta medioevale

Antichissime sono le origini di questo piatto così familiare per i piacentini, che sembrano infatti risalire al 1.200, con l’introduzione delle paste ripiene che servono ad imbandire le tavole di tutte le corti europee. “In quell’epoca nei pranzi di gala si dovevano alternare delle portate di carne, che veniva tagliata e servita al momento – spiega Mauro Sangermani -, ad altre in cui sempre a base di carne che era però pestata nei mortai, insieme ad altri ingredienti, dando così vita a paté e pestelli”. L’origine del nome ‘anolini’ è incerta: sembra derivare da “anolus”, cioè dalla forma ad anello del tagliapasta utilizzato per confezionarli: certo è che il termine “anolino” compare per la prima volta nel 1570 nell’ “Opera” di Bartolomeo Scappi, il cuoco di Paolo III Farnese. In dialetto viene chiamato “anvein”, così come lo riporta il vocabolario di L. Foresti nell’edizione del 1836. Altra piccola curiosità riguarda le sue dimensioni: una volta gli anolini erano più grandi di quelli che siamo abituati a gustare adesso. Servire un bel piatto di anolini ‘maxi’ era sicuramente una dimostrazione di benessere.

Un bicchiere di vino nel ripieno e nel piatto

Nel caso degli anolini il vino è un alleato sia nella preparazione che nella degustazione: mezzo bicchiere di vino rosso – magari un gutturnio di ottima qualità, come abbiamo detto – serve nella cottura della carne per il ripieno, ma può anche accompagnare gli anolini quando sarà il momento di portarli in tavola. La ricetta dell’Accademia della Cucina Piacentina è per sei persone. Il nostro consiglio è di farvi aiutare da un familiare o un amico durante le varie fasi, soprattutto nella fase di preparazione della pasta e del confezionamento degli anolini, se non si ha la stessa manualità delle nonne di una volta.

Gli ingredienti

Per la pasta sono necessari 400 gr farina bianca 00, 2 uova e acqua quanto basta. Per il ripieno servono 250 gr carne di manzo (pernice o guanciale), 2 spicchi d’aglio, 50 grammi di burro, 150 gr pane grattugiato, 300 gr Grana Padano grattugiato, 2 uova e un po’ di odori: sale, carota, sedano, cipolla, pepe, noce moscata, mezzo bicchiere di vino rosso. E, ovviamente, serve anche de buon brodo per la cottura degli anolini.

La preparazione

Steccare la carne con l’aglio, rosolarla nel burro con le verdure a tocchetti, il sale e il vino. Evaporato il vino aggiungere poco per volta il brodo, portare a cottura (4/5 ore). Tritare a coltello la carne dopo averla separata dal sugo di cottura, e tenerne da parte un bicchiere.

In una zuppiera capiente scottare il pane grattugiato con il sugo caldo e aggiungere il formaggio, la carne e le uova, la noce moscata grattugiata e il pepe. Ottenere un composto omogeneo e sigillare con pellicola. Preparare la pasta e tirare delle sfoglie larghe 12 cm disporre delle palline di ripieno (la dimensione ideale è quella di una nocciola senza guscio) ogni 5 cm, ripiegare la pasta e, con l’apposito attrezzo, ricavare gli anolini.

Se non cucinati subito, stendere gli anolini su un canovaccio ed eventualmente surgelarli di volta in volta (in questo caso, consumarli entro 6/8 mesi).

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