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La meccanizzazione in agricoltura e viticoltura| Approfondimento

Spesso abbiamo una visione romantica dell’agricoltura del passato, una visione bucolica di un paesaggio incontaminato e di un’agricoltura a misura d’uomo. Immagine sicuramente molto affascinante ma che non riesce a trasmetterci la fatica, le sofferenze e la durezza legate a questo mestiere, soprattutto per come veniva svolto fino ad un recente passato. L’evoluzione del mondo del lavoro, che ha coinvolto tutte le attività produttive, ha interessato, con l’avvento della meccanizzazione, anche questo fondamentale settore proprio con l’obiettivo di ottimizzare le rese e facilitarne lo sviluppo. Per comprendere questo argomento è necessario conoscere il significato di due termini e più precisamente meccanizzazione, che è il complesso delle operazioni intese a meccanizzare un’attività produttiva ed anche il risultato che se ne ottiene e macchina intesa in modo generico come “qualsiasi dispositivo o apparecchio meccanico e/o elettrico in grado di convertire energia da una forma all’altra (tecnicamente: lavoro in energia, energia in lavoro, lavoro in lavoro)”.

Le origini del lavoro meccanizzato in agricoltura

Fino all’Ottocento l’attività agricola era uguale, per il contadino, in ogni parte del mondo: una vita dura, di stenti e fatica, a volte di fame, strettamente legata al clima e alle stagioni e senza nessun tipo di tutela. Ma nell’Ottocento, con l’invenzione del motore a scoppio (1854), inizia l’epoca della meccanizzazione che si diffonderà, però, realmente nel settore agricolo solo nel secolo successivo. Nell’Ottocento per la prima volta la forza meccanica integra, o sostituisce, la forza umana e animale di buoi e cavalli. La meccanizzazione porterà nel Novecento, in associazione ai grandi cambiamenti sociali, un miglioramento nella vita dell’agricoltore oltre che un aumento delle rese agricole in concomitanza con l’adozione di fertilizzanti chimici e dei primi fitofarmaci.

In realtà le prime semplici macchine agricole, rudimentali seminatrici, compaiono in Inghilterra già nel Settecento. Proprio l’Inghilterra, tra fine Seicento e Ottocento, fa da sfondo alla prima rivoluzione agricola, con mutazioni e innovazioni che coinvolgono le tecniche agronomiche di coltivazione, le rotazioni colturali e l’organizzazione della proprietà terriera e che preparano e sostengono il processo di industrializzazione della nazione e l’inizio della meccanizzazione del settore agricolo. In questo periodo è l’Inghilterra il Paese che subisce i cambiamenti più profondi nelle sue strutture agrarie.

Nonostante le diverse invenzioni, in Europa, ancora alla fine dell’Ottocento, le macchine in agricoltura sono rare. Solo nel Novecento, con l’introduzione del motore a scoppio, il lavoro delle macchine comincia a sostituire sempre più quello dell’uomo e degli animali da tiro. La meccanizzazione nel Novecento viene trainata dall’industria: l’agricoltura si trasforma profondamente anche se lentamente e con essa si modifica anche il paesaggio agricolo. Sono anni di intense sperimentazioni con la diffusione di trattrici agricole o trattori e nuove macchine per le diverse attività agricole: la ricerca si concentra inizialmente soprattutto sulle macchine agricole per la pianura, per i seminativi a cereali e mais, principalmente. Non si parla ancora di meccanizzazione delle colture arboree e nemmeno di meccanizzazione in collina.

L’inizio della meccanizzazione agricola in Italia

In Italia la meccanizzazione procede molto lentamente per tutta la prima metà del Novecento e si diffonde a livello di massa solo a partire dagli anni Cinquanta, dopo la Seconda Guerra Mondiale. La produttività del lavoro cresce, la meccanizzazione facilita il lavoro, permette un minor fabbisogno di manodopera e specializza le colture. Verso gli anni ’60 e ’70 la meccanizzazione raggiunge in Italia anche le produzioni arboree, quindi anche la vite, e le aree collinari. È negli anni Sessanta che la meccanizzazione cerca di raggiungere altri obiettivi oltre alla riduzione della manodopera. Si inizia a parlare di qualità del lavoro, di sicurezza del lavoro, di diminuzione dei costi di produzione, etc. Tutti obiettivi che verranno in parte raggiunti negli anni Duemila.

In viticoltura, come si è visto, la meccanizzazione si diffonde a partire dagli anni Sessanta. Inizialmente il trattore viene impiegato nelle lavorazioni del terreno, nelle operazioni di scasso e aratura per la preparazione dell’impianto del vigneto e per il trasporto dell’uva. Successivamente, con l’adozione di macchine operatrici accoppiate al trattore, la meccanizzazione coinvolge tutti o quasi gli aspetti di gestione del vigneto: la potatura, la legatura dei germogli, la spollonatura, la cimatura, i trattamenti con i fitofarmaci, la sfogliatura, la vendemmia e le lavorazioni, il diserbo del sottofila o la trinciatura dell’interfila o del sottofila.

Modifiche del paesaggio agricolo

L’adozione della meccanizzazione ha portato a cambiamenti nel paesaggio poiché impone delle scelte che riguardano la struttura e la disposizione dei vigneti. Per il passaggio dei mezzi agricoli è indispensabile avere distanze tra le file superiori a 2 m e, di conseguenza, i vecchi vigneti con interfilari stretti che permettono il solo passaggio dell’uomo, o al più con un “motocoltivatore” (macchina agricola motorizzata condotta da un operatore), non risultano adatti. La meccanizzazione coinvolge anche la palificazione del vigneto: per la vendemmia a macchina del vigneto è preferibile avere pali in legno o in acciaio che meglio sopportano e trasmettono lo scuotimento provocato dalla macchina vendemmiatrice indispensabile per avere il distacco dell’acino dal grappolo. Anche le forme d’allevamento o d’impianto vengono coinvolte: esistono forme totalmente “meccanizzabili”, come per esempio il cordone speronato e altre meno. Infine anche la disposizione dei filari è importante: i vigneti a rittochino, lungo la linea di massima pendenza ad oggi sono più adatti alla meccanizzazione rispetto a quelli a giropoggio, soprattutto per ottimizzare l’utilizzo delle macchine.

Il confronto tra le ore necessarie alla gestione di un ettaro di vigneto a mano, o totalmente meccanizzato è impietoso. Infatti se a mano un vigneto con circa 3.500 ceppi/ha richiede almeno 350 ore/ha, con una gestione totalmente meccanizzata, includendo cioè la potatura e stralciatura, necessita di circa 120 ore/ha.

Il futuro della meccanizzazione agricola

In questi ultimi due anni, complice anche il Covid, si è verificata una ancora più difficile reperibilità della manodopera, soprattutto nelle fasi vendemmiali: l’utilizzo delle vendemmiatrici ha subito, per questo motivo, un ulteriore forte incremento. In generale tutta la meccanizzazione è diventata sempre più importante, anche nelle fasi di legatura dei tralci (palizzatura) tipica delle forme d’allevamento a guyot o a cordone speronato (a spalliera).

L’evoluzione della meccanizzazione nell’agricoltura del futuro? Da pochi anni si sta parlando di trattori a guida autonoma, senza più l’operatore a bordo. Di recente introduzione la cosiddetta “agricoltura di precisione” combinazione delle macchine operatrici con sistemi gps e carte nutrizionali per la concimazione, per esempio, con fertilizzanti distribuiti in maniera precisa ai soli punti dell’appezzamento che, in base alle mappe, necessitano di quantità definite di concime, ancora non diffusissima nei vigneti collinari.

Sicuramente la viticoltura del futuro dovrà essere sempre più attenta ai cambiamenti climatici e all’utilizzo delle risorse non rinnovabili, avere un impatto sull’ambiente sempre minore e creare reddito agli agricoltori per sostenerli nel ruolo di sentinelle del territorio. E in questo la meccanizzazione avrà un ruolo importantissimo. Solo così avremo un’agricoltura sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale.

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