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Il vino nella musica e la musica nel vino | Approfondimento

Musica e vino, un binomio inscindibile che significa allegria, festa, spensieratezza e gente che sta bene assieme. Musica e vino hanno caratterizzato la storia dell’uomo; una storia che, senza questi due elementi, sarebbe stata alquanto triste e monotona e, forse, con qualche guerra in più…

Ma andiamo per ordine. Per capire come il vino è entrato nella musica bisogna fare un salto indietro per renderci conto in quale contesto era collocato Bacco e che evoluzione ha avuto nei momenti salienti della nostra Storia.

Nell’Antichità l’Italia era già famosa per la produzione di vino al punto che i Greci chiamavano il nostro Bel Paese “Enotria” per la sua vocazione alla viticultura, di cui gli Etruschi sono stati i maggiori esponenti. Già a quei tempi il vino era entrato a far parte della letteratura. Chi non ricorda ad esempio Ulisse che ubriaca Polifemo per poi accecarlo nel sonno e potersi così salvare? Era questa anche l’epoca dei “Symposion” cioè “lo stare assieme” durante i quali gli intellettuali greci dell’epoca discutevano di varie materie come l’arte, la poesia, il canto, e la filosofia. Durante i simposi il vino non mancava mai perché “apriva le menti” e in questo contesto sono nati i versi cantati di Anacreonte, Archiloco, Saffo e Alceo in cui il vino veniva considerato come un dono degli Dei fruibile solo dagli uomini in quanto dotati di ragione.

Ai tempi degli Antichi Romani ci fu un incremento della coltivazione della vite e il vino divenne una bevanda di uso quotidiano. Fiorivano i famosi “baccanali”, festività dedicate al dio Bacco, dove l’espressione musicale applicata alle cerimonie del vino prendeva vita. La rappresentazione del vino più frequente nel mondo dell’antica Roma era quella del dio Bacco con un calice in mano e le sue sacerdotesse: in occasione di questi eventi mondani bevevano vino e mangiavano foglie di edera che infondeva in esse frenesia che le faceva abbandonare urlanti in danze primordiali…probabilmente le precorritrici degli “urlatori” degli anni 60!!! Alla fine dell’Impero romano abbiamo un lungo periodo poco rilevante per quanto riguarda l’argomento musica/vino, fino al Medioevo.

Vino e Medioevo

Il vino nel Medioevo era molto diverso da come lo conosciamo noi oggi. Era una bevanda leggermente alcolica, molte volte aromatizzata con uso di erbe o dolcificanti per nasconderne i difetti e che già dopo pochi mesi dalla produzione decadeva velocemente. Solo alcuni vini prodotti al sud, grazie ad una gradazione zuccherina dell’uva più alta, potevano durare più a lungo. Teniamo presente che il Medioevo enologico terminerà ben oltre i suoi limiti storici. Solo dal XVIII secolo in poi si potranno gustare i primi vini che si avvicinano a quelli prodotti in epoca moderna.

Nel Medioevo esistevano due categorie di vino: il vino più alcolico che veniva gustato dai signori e, solo in occasioni speciali, dai meno abbienti e poi il “vinello” che era una sorta di vino a bassa gradazione alcolica che veniva prodotto passando l’acqua sulle vinacce a fine spremitura. La produzione del “vinello” sparirà solo agli inizi del Novecento in quanto se ne vieterà la produzione per contrastare le frodi in commercio.

Ciò che ai nostri occhi sembra incredibile è l’età dei consumatori di vino medievali che iniziavano a berne ancora in fasce e poi il consumo pro capite che allora si aggirava attorno ai 2 litri al giorno! Per un giusto confronto: oggi in Italia il consumo è di 22 litri all’anno pro capite! A tutto questo comunque c’è una spiegazione: all’epoca l’acqua era imbevibile in quanto pozzi e fiumi erano contaminati da rifiuti e fango ed erano molte volte lo sfogo delle latrine. A quei tempi il vino aveva anche destinazioni “alternative” rispetto a quella canonica legata alla tavola: era infatti considerato un farmaco efficacissimo per i malati ed anche parte della paga dei lavoratori di fatica come gli agricoltori, muratori etc.

Il vino, oltre ad un alimento basilare della dieta medievale era anche un modo per vivere qualche ora di spensieratezza, lontano dalle difficoltà che quotidianamente l’uomo di quel periodo doveva affrontare e, per questo motivo, è entrato a far parte dei canti goliardici dei primi studenti universitari che si muovevano da tutta Europa per venire a studiare nelle città italiane, prima fra tutte Bologna, sede della prima Università al mondo. Un esempio lampante è “In taberna quando sumus” ripresa poi da Carl Orff nella Cantata “Carmina Burana”, che tradotto in termini attuali sarebbe “quando siamo al bar” che parla di tutte le figure che bevono il vino, dal più ricco al più povero, dalla nonna alla madre e dal Papa al Re trasmettendo il chiaro messaggio che il vino è una bevanda per tutti che azzera le differenze sociali e politiche, rendendo felici tutti quanti in egual modo. In questo periodo la Chiesa vive uno suoi più grandi paradossi: infatti da una parte osteggia il consumo di vino in quanto altera la ragione e allontana l’uomo da Dio, ma nel contempo lo considera il Sangue di Cristo e lo include nella liturgia eucaristica. In questo modo ne diventa, suo malgrado, il principale veicolo di diffusione.

Avviciniamoci all’era moderna.

La scoperta di nuovi continenti aveva diffuso su scala mondiale la vitis vinifera e continenti come l’Australia e il Sud America, avendo il clima ottimale, avevano contribuito a diffondere la coltivazione della vite e a sviluppare la produzione del vino. La Rivoluzione francese poi ha contribuito a cambiare la gestione dei territori agricoli in Francia, espropriando i nobili e la Chiesa a favore degli agricoltori che via via incrementano la produzione di vino diventando imprenditori e commercianti. La bevanda di Bacco viene conosciuta in tutto il mondo.

Nel XVIII secolo si migliora notevolmente la qualità dei contenitori di vetro e, grazie all’uso del tappo di sughero, i vini si conservano meglio. Anche le attrezzature di cantina vengono migliorate. Ad esempio, viene introdotta la pressa a vite verticale per una migliore spremitura delle uve. Vengono anche redatti i primi trattati scientifici sulla vinificazione e viene anche scoperta la pastorizzazione che previene alterazioni di carattere microbiologico del vino. Tutto questo concorre ad elevare la qualità media del prodotto e le varie tipologie di vini cominciano a distinguersi, evidenziando le diverse caratteristiche organolettiche derivanti dalle peculiarità climatiche e morfologiche dei terreni ove venivano prodotti.

In questo periodo vengono composte le opere liriche che faranno la storia della musica ma anche del vino: basti pensare a “Traviata” di Giuseppe Verdi ove si canta “Libiam né lieti calici” da considerarsi l’inno per eccellenza alla degustazione di un buon bicchiere di vino, oppure al “Barbiere di Siviglia” di Gioacchino Rossini, opera in cui sono presenti numerosi accenni enogastronomici,  il “Don Giovanni” di Mozart dove non mancano i riferimenti ai vini italiani, oppure “La Cavalleria Rusticana” di Pietro Mascagni dove si parla di “vino generoso” e “spumeggiante” . Anche Strauss ha dedicato un valzer ai piaceri della vita (dal punto di vista maschile, s’intende…) intitolato “Wein, Weib und Gesang” (vino, donne e canto) che sembra mettere in musica il concetto di Schopenhauer che sosteneva che “chi non ama le donne, il vino e il canto è semplicemente un pazzo, non un santo!”.

Musica e vino dalla metà del ‘900.

A questo punto, con la nostra macchina del tempo, arriviamo agli anni d’oro della canzone melodica italiana, dei cantautori, degli anni ‘80 arrivando fino ai giorni nostri.

Bisogna dire che il nostro vino negli anni 60 e 70 del secolo scorso è rimasto un elemento basilare della nostra alimentazione: il consumo di allora si aggirava attorno ai 110 litri annui pro capite contro i 24 litri del 2021. Era considerato argomento popolare che faceva parte della quotidianità come il pane, il giornale o il Carosello. Già, perché anche Carosello allora parlava di vino. Emblematico è lo spot dello “spilungone” seguito passo per passo dal “nanetto” che alla fine consigliava di bere una nota marca di vino di allora sostenendo che si poteva bere meglio pagando solo “mezzo bicchiere in più”, ma non riferendosi al contenitore da lt 0,75 come potremmo pensare, ma bensì al bottiglione da 1 litro e 50! …Quelle erano le misure di allora!

Alla metà degli anni ‘80 il vino fa un salto culturale trascinato dal culto del cibo: nascono le riviste specializzate, i concorsi, le guide, i corsi da sommelier e soprattutto si scopre l’abbinamento dei vini alle pietanze. E da qui si parte con i ricettari di cucina che consigliano alle massaie abbinamenti con vini di cui non conoscevano nemmeno l’esistenza, nascono numerose trasmissioni enogastronomiche alla televisione e al ristorante iniziano le gare a chi ne sa di più in fatto di vini.

Nelle canzoni invece il vino rimane sempre quello di una volta: un elemento che quando entra in scena fa allegria oppure aiuta a dimenticare i fallimenti amorosi. Le citazioni sarebbero innumerevoli, ma ci limiteremo ad elencarne solo alcune tra quelle più famose o più divertenti.

Iniziamo da quel genio di Giorgio Gaber e la sua “Barbera e Champagne” un binomio che racchiude due modi di bere, uno all’opposto dell’altro, ma che nella canzone hanno entrambi la stessa funzione: quella di far dimenticare un amore finito malamente.

Il sempre triste Sergio Endrigo racconta nella sua “Il primo bicchiere di vino” che si è avvicinato a Bacco per consolarsi dei tanti rifiuti che aveva ricevuto da una certa Maria, che probabilmente preferiva una compagnia un po’ più divertente.

Francesco Guccini nella sua “Avvelenata” ci elenca tutto ciò che ama fare e ci presenta il vino come un manifesto di libertà, unico rimedio contro la sua perpetua arrabbiatura e anello di congiunzione con l’ispirazione creativa.

Gabriella Ferri nella sua versione de “La Società dei Magnaccioni” ci racconta di una simpatica brigata con la predilezione per l’ozio e il gozzoviglio che porta a contestare le regole della società in cui vive e, anche se è noto che il furbone dell’oste ha aggiunto dell’acqua al vino che serve, tuttavia a loro va sempre bene perché non ne ha aggiunta abbastanza per rubare al vino la proprietà di tenerli lontani dal mondo esterno con tutti i suoi problemi.

Albano e Romina in “Felicità” danno al vino una connotazione festaiola e ci dicono che il vino è felicità…basta anche solamente gustarlo con un panino!

Lucio Dalla in “4 marzo 1943” pone il vino sul suo trono per eccellenza: il tavolo dell’osteria ove lui, dopo averci raccontato tutti i particolari del suo concepimento, si ritrova adulto a giocare a carte, in una vita modesta ma spensierata.

Situazione analoga per Gino Paoli in “Quattro Amici” dove si raccontano le aspirazioni giovanili di alcuni amici che frequentano lo stesso bar e, “tra un bicchiere di vino ed un caffè”, che scandiscono il trascorrere inesorabile del tempo, si scoprono costretti a lasciare i propri ideali incalzati dagli impegni di una vita che invece volevano cambiare.

Il Poeta della musica Fabrizio de André ne “La Città Vecchia”, i cui versi sono stati citati addirittura da Papa Bergoglio in una prefazione di un libro argentino, racconta della vita parallela vissuta nei bassifondi, ai più sconosciuta, in cui la gente che la vive si sente abbandonata a sé stessa in completa solitudine e l’unico viatico a questa situazione è rappresentato da un buon bicchiere di vino, un amico che è sempre presente e che non delude mai.

L’indimenticabile Rino Gaetano in “La Festa di Maria”, al cui testo vengono date interpretazioni esoteriche o quantomeno libertine, è un inno all’emancipazione dove il vino è presentato come il simbolo della vita vissuta, delle esperienze maturate durante il cammino esistenziale, e anche quelle trasgressive che, come tali, sono le migliori.

Antonello Venditti in “Bomba o non bomba” racconta degli esordi della sua carriera vissuti assieme a De Gregori partendo da Bologna con l’obiettivo di trovare il successo a Roma e ci parla di una bevuta di vino a “mani unite” come paragone con l’ebbrezza che ha dato loro il successo.

Il “Professore” Roberto Vecchioni in “Samarcanda”, tormentone dell’estate 1977, ci racconta di un cavaliere che festeggia la fine della guerra con una bella bevuta di vino che poi viene bruscamente interrotto dall’ombra della morte che lo obbliga a fuggire a cavallo.

Il compianto Pierangelo Bertoli in “Delta” descrive la vita lungo il Grande Fiume e le tradizioni contadine che la caratterizzano includendo i momenti di festa in cui il vino è indiscusso protagonista.

Gianni Togni in “Luna” ci dice che il manifesto della sua filosofia di vita lo scrive sui muri in latino, esaltando i due piaceri principali dell’esistenza: le donne e il buon vino.

Umberto Tozzi in “Ti amo” dopo aver lasciato l’amante, decide di tornare dalla moglie chiedendole per prima cosa un po’ del suo “vino leggero” …che sia ritornato a casa solo per questo?

Loretta Goggi nell’eterna “Maledetta primavera” parla della delusione di una donna che, dopo essersi lasciata andare ad un momento di passione per colpa di un vinello bianco ruffiano, si pente di quello che ha fatto, soprattutto perché capisce che i suoi sentimenti non vengono corrisposti.

Lucio Battisti in “Luci-ah” racconta di una ragazza libertina e scatenata che ne combina di tutti i colori e che vorrebbe provare tutti i ragazzi del paese per essere sicura di scegliere poi il marito giusto e in questa successione di marachelle la ragazza in questione trova il tempo per una pausa in cantina dove, dopo aver fatto una buona bevuta, fa addirittura il bagno nel vino, quasi per ricaricarsi e ripartire verso nuovi disastri. Sempre il Lucio Nazionale in “Innocenti Evasioni” racconta di una scappatella dove il vino messo in fresco è il complice ideale per avere successo in questa avventura fine a sé stessa.

I Pooh in “Una domenica da buttare” elencano tra le sventure meteorologiche e sentimentali che rovinano una giornata di festa anche il vino che è terminato e che, al limite, avrebbe potuto raddrizzare una giornata nata storta. Altre citazioni enologiche le troviamo in “Solo cari ricordi” in cui si parla di un amore finito e di un interno dove gli oggetti ricordano momenti di felicità vissuti con la donna amata che se n’è andata e, tra questi oggetti, c’è anche una bottiglia di vino vuota che riporta ai momenti migliori di questo rapporto finito. In “Un posto come te” sempre I Pooh considerano il “vino bevuto in compagnia” un elemento basilare per sentirsi appagati e in pace con la vita.

Ivan Graziani in “L’ubriaco” racconta gli effetti di una bevuta eccessiva e il ritorno verso casa di una persona sola che, cantando alla luna, si scrolla di dosso i pensieri che lo affliggono durante il giorno. Ancora una volta il vino è visto come terapia contro il dolore interiore.

Mina in “Ma che bontà” racconta di una golosa curiosona che vuole assaggiare un po’ di tutto e che dopo aver degustato diversi piatti sfiziosi vuole fare anche una puntatina in cantina per bere un po’ di vino, immancabile compagno di ventura per deliziare le papille gustative, prima di un finale un po’ “amaro” generato probabilmente dall’insofferenza del cuoco nei confronti di questa buongustaia un po’ troppo invadente!

Celentano in “Un po’ di vino” racconta di un gruppo di amici che negli anni Sessanta decide di recarsi in un fantomatico locale di Voghera a ballare il Foxtrot, ballo in voga in quel periodo: tutti promettono di portare compagnia femminile, ma il protagonista, non avendo ragazze, porta con sé una bottiglia di vino e, quando si accorge di essere stato vittima di un pesce d’aprile dei suoi amici buontemponi, si consola con il vino, amico fedele che non tradisce mai.

Come fare poi a non citare anche Vinicio Capossela che in “Che coss’è l’amor” per rompere il ghiaccio con la “signorina” protagonista della canzone, si presenta come “il re della cantina” e “vampiro della vigna”, oppure un gruppo che addirittura ha preso il nome da un vino come i Negramaro?

Anche testi di famosissimi artisti stranieri coinvolgono il nostro beneamato vino. Per elencarne solo alcuni non possiamo dimenticare “Hotel California” degli Eagles in cui prediligono bollicine in rosé, Bob Dylan con “All along the watchtover”, brano reso famoso anche da Jimi Hendrix e poi ripreso anche dagli U2 che parla del vino in senso allegorico e viene rappresentato come il potere rubato al popolo e che viene gestito esclusivamente dagli uomini al vertice della politica e dell’economia. I Led Zeppelin in “Going to California“ parlano della bevanda degli Dei, I Queen in “Killer Queen” parlano di bollicine. Billy Joel in “Scenes from an italian restaurant” come poteva esimersi dal citare il vino con un titolo del genere? Frank Sinatra in “I will drink the wine” e “The days of wine and Roses” vede il vino come status symbol nella prima traccia e come portale per il passato nella seconda. I Beatles in “A taste of honey” mettono in contrapposizione il sapore del miele a quello del vino…e, dal testo, si deduce che bevevano vino secco… I Rolling Stones in “Pass the wine” ci presentano il vino come unica consolazione contro tutti i problemi della vita quotidiana della middle class, i Simple Minds citano il vino in “Kill or cure” e “Sugar” e così via….

Ache gli artisti contemporanei non disdegnano l’argomento vino nei propri testi come il rapper Fabri Fibra in  “Stavo pensando a te”,  Claver Gold e Davide Shorty, noti esponenti del Rhythm and Blues italiano in “Notte di vino”, Marta sui Tubi in “Di vino”, Fedez in “Meglio del cinema”, Irama con “Icaro”, Mahmood e Blanco con “Brividi”, Marco Mengoni con “Amore assurdo”, Elisa con “Chi lo sa”, i Pinguini Tattici Nucleari con “Scrivile scemo”, Cesare Cremonini con “Fare e disfare”, Jovanotti con “Mediterraneo”, Malika Ayane con “Senza fare sul serio” e i Maneskin con “La paura del buio”.

Vino nella musica, ma anche musica nel vino…ma come?

Bisogna innanzitutto dire che finora tre sono i sensi presi in considerazione nella degustazione del vino. I due principali, che rappresentano il 90% dell’esito dell’assaggio, sono l’olfatto e il gusto e il resto è a carico della vista. La vista concorre a determinare la qualità di ciò che stiamo bevendo non soltanto osservando il colore del vino ma anche l’ambiente in cui avviene la degustazione. Ad esempio, lo stesso vino risulterà diverso se degustato in un ambiente fastoso di una località amena, con posate in argento, piatti di porcellana e camerieri in livrea o in una trattoria di basso livello vicino ad uno svincolo autostradale!

Ai tre sensi canonici sopracitati, sembra che se ne aggiunga un quarto che concorra a farci percepire la qualità di un vino: l’udito! Infatti, uno studio recente effettuato dal Prof. North dell’Università di Edimburgo ha dimostrato che il gusto percepito del vino cambia se si ascolta la musica durante la degustazione e che le caratteristiche organolettiche vengono elaborate in modo diverso a seconda del tipo di musica che si ascolta. Se così fosse, per emozionare le nostre papille, in futuro potremo introdurre, oltre all’abbinamento con il cibo, anche quello con la musica più adatta ai nostri gusti e non dovremo meravigliarci se il vino ci verrà proposto da un dj sommelier!

A questo punto, intrecciando tutte le varianti che determinano l’esito di un pranzo e cioè location, temperatura, cibo, vino e musica, le combinazioni che abbiamo a disposizione sono illimitate ed è sufficiente cambiare uno di questi fattori per vivere un’esperienza enogastronomica completamente diversa da quella precedente.

E non è finita: esiste un esperimento effettuato da due ricercatori austriaci, Koerberl e Bachmann consistente nell’installazione di altoparlanti per diffondere musica classica nei vigneti. I risultati sono stati sorprendenti! I vigneti che hanno “ascoltato” la musica sono cresciuti il doppio di quelli lasciati “in silenzio” e i loro grappoli sono giunti a maturazione prima, con una qualità eccellente. Anche in cantina sembra che la musica abbia la sua influenza: alcuni produttori, durante la vinificazione, diffondono musica di Mozart con ottimi risultati dal punto di vista qualitativo. Non esiste un’evidenza scientifica a riguardo ma potrebbe esserci una spiegazione fisica. Le onde sonore propagate dalle casse all’interno della cantina, infatti, potrebbero interagire con l’azione dei lieviti migliorando così il processo di fermentazione.

Per concludere, l’accoppiata musica e vino esiste da sempre, ci ha accompagnato attraverso i secoli e altrettanto farà in futuro ma non facciamoci ingannare dalla confidenziale semplicità e dalla facile fruibilità del binomio: entrambi vanno approcciati con metodo e passione, per evitare di diventare come coloro che affrontano l’argomento solo con la presunzione di essere in possesso di una innata conoscenza e di essere in grado di giudicare a prescindere un vino o un pezzo musicale. Avvicinandoci, invece, con garbo e rispetto a vino e musica, scopriremo due compagni fedeli che ci accompagneranno tutta la vita, emozionandoci ogni giorno con momenti di benessere e spensieratezza che alla fine, nonostante tutto, riusciranno a farci dire “sì, la vita è bella!!!”.

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